Il percorso dell’esposizione ripercorre i passi dell’artista che, allieva di Moholy-Nagy al Bauhaus, si avvicina alla fotografia facendone il mezzo espressivo per eccellenza in grado di scomporre e ricomporre la realtà.
Ciò che più le interessa, nelle sperimentazioni dei primi anni, è utilizzare la composizione per giocare con gli elementi attraverso una rigorosa costruzione formale, di derivazione costruttivista, ibridata con l’enigma e lo straniamento tipici del surrealismo.
Lo specchio, protagonista dei suoi scatti, diventa allora un elemento di continuità tra reale e riflesso e allo stesso tempo un modo per deformare; l’oggetto raddoppiato non è più l’oggetto stesso ma la sua astrazione.
Ambiguità percettiva e sfasamento dei piani prendono il posto dell’astrazione geometrica. I suoi lavori si spostano verso la metafisica.
In mostra ci sono anche i fotomontaggi dedicati a Roma, una città molto amata dalla fotografa, che ricordano soggetti e atmosfere dei dipinti di De Chirico.
L’attenzione per la composizione è determinante nel ritratto come nei nudi.
L’esposizione si chiude proprio con i ritratti che Florence scatta ai suoi amici di Parigi: Piet Mondrian, Vasilij Kandinskij, Robert e Sonia Delaunay, Jean Arp e Sophie Tauber Arp, Nelly e Theo van Doesburg, Fernand Lèger, Jaques Villon.
Intensità, sensualità e geometria si ricorrono.
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